A Cagliari parlano le mura. Per il visitatore straniero, sono molto più eloquenti degli stessi sardi, non molto portati alle chiacchiere fortuite. Un buona parte delle scritte con bombolette spray in città sono manifestazioni di amore, infatti si potrebbero dire di amore all’amore stesso, come una orgogliosa dichiarazione di un principio di vita. Uno cammina attraverso la città tra sguardi elusivi e improvvisamente si trova faccia a faccia con una pietra che parla a cuore aperto e ti brucia l’anima.
Questa curiosità sul rapporto tra Cagliari, le pietre e la comunicazione finisce per portarci fino a 20 chilometri fuori città, dove si dice che un artista abbia fatto cantare le pietre: la pittoresca cittadina di San Sperate.
Camminiamo lungo via Concordia, come i bambini attraverso strade di caramelle, quando un tintinnio di chiavi ci tira fuori dal nostro incanto. È un uomo che cammina sorridendo, chiamandoci con una chiave misteriosa che, seguendola fino in fondo alla strada, si ferma per aprire la porta verso la quale eravamo diretti: numero 16. È il signor Sciola, ci sta mostrando la sua casa.
La storia di suo fratello, Pinuccio Sciola, ci riempie davvero di ispirazione. Per noi non è esagerato affermare che appartiene a quello categoria di persone che riescono a personificare in se stessi gli ideali umanistici di Platone, Schiller o Nietszche.
Il giovane agricoltore Pinuccio inizia nella sua adolescenza a sperimentare l’arte. Francesca, la guida del parco museale, ci mostra in seguito, con molta dolcezza, la scultura che esegue all’età di 17 anni: un bambino contadino dai piedi invisibili, affondato nella pietra. Deve essere un effetto di quest’isola che, come è successo a noi, divora i piedi di coloro che la calpestano. I suoi amici presentano la scultura a un concorso che gli rende una borsa di studio per studiare arte a Cagliari. E da Cagliari al mondo: Pinuccio intraprende il viaggio esplorativo dello schiavo platonico, che gira lo sguardo per crescere verso Firenze, Salisburgo, Madrid o Parigi e ben oltre gli accademici, come esperienza di emancipazione, facendo un giro dell’Africa negli anni Sessanta, per tornare, come pochi ritornano, e rivoluzionare il suo nativo San Sperate riempiendolo di murales, accompagnato da amici e legati alla causa. Pinuccio tornò sul fondo della caverna e lo riempì di colori, tornò a svegliare tutti, gonfiando il suo cuore per l’educazione estetica dell’uomo, tornò essendosi realizzato come übermensch. Non ce ne sono molti e sfortunatamente il ricordo di molti di loro si dissolve presto nell’anonimato, quello di altri vive ancora indefinitamente nelle loro opere. La città è ancora oggi un museo a cielo aperto, ad ogni passo i murales si susseguono con stili diversi, contando mille fantasie diverse.
Ma torniamo alle pietre. Chi meglio di un contadino, abituato alla lingua della terra, alla fertilità dei suoi solchi – che in latino sono chiamati versi – per far cantare le pietre? Pinuccio ci mostra l’anima delle pietre, le scolpisce in modo che la sua storia interna diventi traducibile nei sensi umani. Al tatto, la pietra basaltica canta nel fuoco magmatico e quella calcarea con il suono dell’acqua e del vento. Una di loro sembra suonare il nostro arrivo a Cagliari.
Karine è colpita dal fatto che le opere d’arte sono così esposte al tempo. Sappiamo che una delle caratteristiche dell’arte murale è l’accettazione dell’effimero. Pinuccio dice di prendere le pietre dalla natura per poi restituirle. Accettando in questo modo gli effetti del divenire sull’opera, Pinuccio offre un atteggiamento rivoluzionario nei confronti della cosiddetta aura dell’oggetto d’arte. L’opera non è più sospesa nell’eterno limbo delle opere museali, Pinuccio colloca le sue sculture allo stesso livello dell’organico, il vivente o della “street art”. Alcune sculture sono rotte e ci dispiace molto, ma come gli oggetti viventi, nascono, si trasformano e ritornano sulla terra. Era sempre disponibile a diffondere la tecnica, insegnando ad altri artisti a cercare la voce della pietra. Se le sculture che vediamo ora sono chiamate ad essere consumate dal passare del tempo, non è meno vero che questo genere di opere può essere riprodotto con gli esperimenti di artisti, scultori o musicisti, che vogliono continuare a far suonare le rocce.
Prendiamo commiato pensando che Pinuccio accarezzasse le rocce proprio come il camminatore accarezza le pietre delle ripide strade con i piedi, Casteddu in alto, Casteddu in basso; lasciandosi incantare dal proprio verso. La pietra, attraendolo attraverso il tatto dei piedi, lo ispira, gli fa credere nella storia e nel destino.





















Cuando las piedras cantan
En Cagliari los muros hablan. Para el visitante extranjero, resultan mucho mas elocuentes que los propios sardos, no muy dados al blabla fortuito. Un buen número de los escritos a aerosol en la ciudad son manifestaciones de amor, en realidad podría decirse de amor al mismo amor, como una orgullosa declaración de principio de vida. Uno camina por la ciudad entre miradas esquivas y de repente se da de bruces con una piedra hablando a corazón abierto y le quema el alma.
Esta curiosidad por la relación entre Cagliari, las piedras y la comunicación nos acaba llevando hasta 20 kilómetros fuera de la ciudad, donde dicen que un artista hacía cantar a las piedras: El pintoresco pueblo de San Sperate.
Caminamos por la calle Concordia, como niños por calles de caramelo, cuando un agitar de llaves nos saca de nuestro embelesamiento. Es un señor que camina sonriéndose, llamándonos con una llave misteriosa y que, al seguirla calle abajo, se detiene para abrir la puerta a la que nos encaminábamos: el numero 16. Es el señor Sciola, nos está mostrando su casa.
La historia de su hermano, Pinuccio Sciola, realmente nos llena de inspiración. Para nosotros no es exagerado decir que pertenece a ese espectro de personas que logran personificar en si mismos los ideales humanísticos de Platon, Schiller o Nietszche.
El joven agricultor Pinuccio empieza en su adolescencia a experimentar con el arte. Francesca, la guía del parque museo, nos muestra más tarde, con mucha dulzura, la escultura que realiza a los 17 años: un niño labrador de pies invisibles, hundidos en la piedra. Debe ser un efecto de esta isla que, como nos ocurrió a nosotros, devora los pies de quien la pisa. Sus amigos presentan la escultura a un concurso que le procura una beca para estudiar arte en Cagliari. Y de Cagliari al mundo: Pinuccio emprende el viaje exploración propio del esclavo platónico, que vuelve su vista hacia fuera para crecer hacia Florencia, Salzburgo, Madrid o Paris y mucho mas allá de lo académico, como experiencia de emancipación, recorriendo Africa en los años sesenta, para volver, como pocos vuelven, y revolucionar su San Sperate natal llenándolo de murales, secundado por amigos y afines a la causa. Pinuccio volvió al fondo de la caverna y la llenó de colores, volvió para despertar a todos, hinchado su corazón por la educación estética del hombre, volvió hecho a si mismo como el ubermensch. No son muchos, y lamentablemente la memoria de muchos de ellos queda muy pronto disuelta en el anonimato, la de otros vive aún indefinidamente en su obras. El pueblo todavia hoy es un museo al aire libre, a cada paso los murales se suceden con estilos diferentes, contando mil fantasías diversas.
Pero volvamos a las piedras. ¿Quién mejor que un labrador, habituado al lenguaje de la tierra, a la fertilidad de sus surcos -que en latín se llaman versos- para hacer cantar a las piedras? Pinuccio nos muestra el alma de las piedras, las esculpe de manera que su historia interna se vuelva traducible a los sentidos humanos. Con el tacto, la piedra basáltica canta en fuego de magma y la caliza con el sonido del agua y del viento. Nos parece que una de ellas suena como nuestra llegada a Cagliari.
A Karine le llama la atención que las obras de arte estén así expuestas a las inclemencias de la intemperie. Sabemos que una de las características del arte mural es la aceptación de lo efímero. Pinuccio dice tomar las piedras de la naturaleza para luego restituírselas. Aceptando de este modo los efectos del devenir sobre la obra, Pinuccio ofrece una interesante actitud ante el llamado aura del objeto de arte. La obra ya no se encuentra suspensa en el limbo eterno de las obras museísticas, Pinuccio coloca sus esculturas en el mismo plano que lo orgánico, lo vivo, o que el street art. Algunas esculturas se rompen, y nos da mucha pena, pero como objetos vivos nacen, se transforman y vuelven a la tierra. Se mostró siempre disponible a la divulgación de la técnica, enseñando a otros artistas a buscar la voz de la piedra. Si las esculturas que ahora vemos están llamadas a ser consumidas por el paso del tiempo, no es menos cierto que su especie puede reproducirse con las experimentaciones de artistas, de escultores o músicos, que quieran seguir haciendo sonar las rocas.
Nos vamos pensando que Pinuccio acariciaba las rocas igual que el caminante acaricia con sus pasos las piedras de las empinadas calles, Casteddu arriba, Casteddu abajo; dejándose encantar por el verso de su propio camino. La piedra, atrayéndole a su tacto desde los pies, le inspira, le hace creer en la historia y en el destino.